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Carlo Bernari, Cina, Giochi Olimpici, L'Europeo, Olimpiadi, Simone de Beauvoir, Tibet, Vittorio ZIncone
In questo periodo di Olimpiadi mi sono interessata molto non solo allo sport in quanto tale (che peraltro adoro), ma anche al Paese che ospita i Giochi Olimpici: la Cina, paese enorme dalla cultura millenaria, pieno di fascino e di contraddizioni e sono finalmente riuscita a leggermi con calma il numero del mensile “L’Europeo” interamente dedicato a questa grande Nazione.
Riporto qui alcuni stralci degli articoli che ho trovato più interessanti
“Parlare della Cina è come volere asciugare il mare con una conchiglia. Non solo perché la Cina è enorme ma perché è un Paese “contraddittorio”, cioè vive con le sue contraddizioni scoperte. Gli inglesi coniarono un aforisma: “Non si può mai dire una verità sulla Cina, senza rischiare di dire nello stesso tempo una bugia”. Dimenticavano la cosa più importante: che loro in Cina vi andavano col fucile, e non col bastone del viandante. E il cinese li accoglieva non da padrone di casa, ma da servo. Da che mondo e mondo il servo ha sempre cercato di ingannare il proprio padrone. L’imperatrice lo farà da imperatrice-serva, il funzionario da funzionario-servo, il letterato da letterato-servo e così via, fino al lao peh hsing (i vecchi-cento-nomi, vale a dire il popolino). E’ questa l’unica vendetta che l’oppresso può prendersi sull’oppressore: non fargli capire niente, dirgli la metà del vero, ma l’altra metà conservarsela per il momento buono. […] “Meglio andarsene dopo un mese”. Perché sino a un mese resiste l’illusione di aver capito tutto. Dopo due mesi cominciano i primi dubbi. Dopo tre si ha la certezza di non aver capito nulla.”
Da “1956 L’Impero o pressappoco“, di Carlo Bernari, L’Europeo n. 1
Manifesto Anni ’70 dalla mostra Da una Cina lontana
“[…] La cina resta una grande illusione soprattutto per gli occidentali. Ne ha scritto a lungo uno studioso americano, Paul Hollander, nel suo libro Political Pilgrims, raccontando le bugie, le illusioni e i travolgimenti delle verità compiuti in questi ani da intelletuali alla ricerca di un “modello”. Dopotutto anche lo stesso marxismo-leninismo di Mao era di importazione…
“E faceva paura. Ricordo l’impressione che mi fece il primo passaggio sulla piazzo di Tienanmen, a Pechino, sotto iquattro grandi ritratti d Marx, Engels, Stalin e Mao. Perché mai i cinesi avrebbero dovuto seguire il pensiero di un vecchio filosofo che non sapeva andare in bicicletta, o le azioni di un assassino? Ma Mao era convinto che la Cina dei comunisti fosse un foglio biancosu cui bisognava ricominciare a scrivere. E se bianco non era, bisognava cancellare tutto quello che ancora si poteva leggere.”
da “Il Grande imbroglio, colloquio con Tiziano Terzani”, L’Europeo 1984, n. 41
“La famiglia tradizionale opprimeva tutti gli individui negando loro libertà, amore e felicità coniugale. Ma erano le donne a esserne particolarmente vittime…credo che in nessun Paese al mondo la sorte delle donne sia stata così abominevole.”
da “La lungue marche. Essai sur la Chine”, Simone de Beauvoir, éd. Gallimard, 1957
“Dopo che le crociate dei cristiani e le guerre santedei musulmani sulle tre sponde del Mediterraneo, le Americhe furono conquistate e colonizzate con l’assunto di propagandare la fede cristiana. Scadute, nel secolo dei Lumi, le giustificazioni religiose, arrivarono le spiegazioni laiche. In Asia i governi europei si sostituirono apertamente alle compagnie mercantili e in Africa la conquista si estese in nome dei beneficidi una civiltà più razionalistica e materiale: la necessità di propagare l’alfabeto e l’uso del sapone sostituirono nella retorica del tempo gli antichi, e forse più genuini, impulsi evangelici. I marxisti proclamarono drammaticamente che l’imperialismo era la fase estrema del capitalismo e si affannarono a smascherare i retroscena economici della missione dell’uomo bianco. Ora anche il comunismo è diventato dottrina di governo, e si è trovato di fronte allo stesso problema di giustificare il proprio dominio su gente che non lo desidera: e se la cava adottando le stesse spiegazioni di crociati, dei conquistadores e dei colonialisti: una missione di civiltà da condurre a termine anche con la forza. Che i Tibetani non volessero saperne del comunismo e dei cinesi in genere, è cosa fuori di ogni discussione. Il Tibet non è una regione della Cina, come i cinesi sostengono, ma è una nazione autonoma, con lingua, religione, usi e costumi profondamente diversi.”
da “1958 Ma il Tibet non ci sta”, di Vittorio Zincone, L’Europeo n.17
Foto in bianco e nero di Patrick Zachmann e foto a colori di Steve Mc Curry